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Il dolore severo incoercibile nel paziente oncologico
Severe intractable pain in cancer patients
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Roberto Bellini
SOS di Terapia del Dolore, Casale Monferrato
Francesco Bruno
Direttore Anestesia e Rianimazione, Università di Bari
Carlo Capalbo
Oncologia Medica, IRCCS Roma
Laura Demartini
Anestesia, Fondazione Maugeri, Pavia
Guglielmo Fumi
Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera Terni
Domenico Quattrone
Anestesia e Rianimazione, AUSL Messina
Lara Tollapi
Anestesia e Rianimazione, AO Universitaria Pisana, Pisa
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Introduzione
 
Si stima che il dolore cronico persistente interessi il 15 per cento della popolazione mondiale1 e dal 15 al 30 per cento della popolazione statunitense.2 L’elevata prevalenza del dolore cronico sottolinea la necessità di poter disporre di terapie antalgiche efficaci.2
La gestione del dolore cronico è complessa e costituisce a tutt’oggi una sfida per il clinico. Essa prevede l’utilizzo di strategie terapeutiche farmacologiche, interventistiche, psicologiche e fisiche in una continuità di cure che, partendo da un approccio di base procede verso l’impiego di terapie via via più specifiche e invasive.1,2
 
Il trattamento farmacologico di base prevede la somministrazione di analgesici, oppioidi e nel caso di dolore di tipo neuropatico anche alcuni antidepressivi e anticonvulsivanti specificamente indicati. Nonostante la disponibilità e l’assunzione di numerosi presidi terapeutici, nel 10-30 per cento dei casi i pazienti ottengono solo una risposta parziale o insufficiente e la comparsa di eventi avversi che peggiorano la qualità di vita.1 Quando l’analgesia risulta insufficiente o induce la comparsa di inaccettabili eventi avversi, devono essere considerati approcci terapeutici alternativi e più invasivi (blocchi nervosi, chirurgia, neuromodulazione, neurostimolazione).

 
I dispositivi adatti alla somministrazione intratecale di farmaci sono utilizzati in Italia da circa 30 anni.
 
Rispetto ad altre vie di somministrazione, l’infusione intratecale di farmaci consente di ottenere una equi-analgesia a dosi inferiori e con un profilo di tollerabilità più favorevole in alcuni pazienti. Il diretto accesso allo spazio intratecale rende possibile l’impiego di farmaci che, per la loro inattivazione sistemica o per la scarsa permeabilità attraverso la barriera ematoencefalica, non possono essere somministrati per altre vie.3

Letteratura
 
Dati in letteratura stimolano l’utilizzo dei farmaci per via sistemica e limitano in circa il 5 per cento le tecniche invasive nel paziente oncologico.
 
Il paziente oncologico che presenta dolore viene trattato prima di tutto dall’oncologo, anche con oppioidi per via sistemica. L’oncologo può richiedere, in conseguenza a un bisogno clinico, consulenza al terapista del dolore.
 
Il paziente oncologico che giunge al terapista del dolore risulta pertanto già pluritrattato. Il terapista del dolore interviene prima razionalizzando l’analgesia già in atto e successivamente proponendo terapie interventistiche.
 
Generalmente questi pazienti giungono al terapista del dolore negli ultimi 3 mesi di vita. È una tipologia di paziente complesso, spesso con metastasi ossee diffuse, dolore viscerale; in questi pazienti in ogni caso la eventuale terapia intratecale non peggiora la qualità della vita, anzi, migliorando il controllo del dolore, può migliorare le condizioni generali (anche per la riduzione dei farmaci sistemici), tanto che talvolta il paziente può riprendere la chemioterapia.
 
In alcuni casi, a seguito del raggiungimento di una adeguata analgesia, è stato possibile per il paziente riprendere la chemioterapia.
 
La letteratura ha individuato alcune patologie oncologiche che rispondono scarsamente al trattamento con oppiacei sistemici: metastasi epidermiche, metastasi pleuriche, linfonodi periaortici, infiltrazioni del peritoneo, tutte zone ricche di innervazioni.

Discussione
Nel caso in cui il terapista del dolore opti per il trattamento intratecale sussistono per lo meno le seguenti criticità da gestire correttamente:
  • la distanza della residenza del paziente dal centro di terapia del dolore, in quanto la pompa a microinfusione necessita di ricarica ogni 30 giorni circa;
  • l'eventuale eccessivo uso di oppioidi e la conseguente dipendenza da essi.
Nel paziente oncologico è richiesta una risposta antalgica rapida che non è facile da gestire se non da mani esperte;
  • il processo decisionale del timing di passaggio dalla terapia convenzionale alla neuromodulazione spinale;
  • la gestione del follow-up del paziente.
Nel paziente oncologico è decisamente più efficace un approccio alla terapia intratecale più precoce rispetto a quello attuale; i pazienti devono essere attentamente selezionati attraverso una stretta collaborazione tra terapista del dolore e oncologo.
Oltre alle suddette problematiche spesso si aggiunge la non compresa differenziazione tra breakthrough pain e dolore incidente e il conseguente eccessivo uso di oppioidi a rapido assorbimento spesso prescritti anche dal medico di famiglia.
I componenti del comitato scientifico sottolineano inoltre la necessità di una raccolta di dati omogenea, tramite criteri di misura uniformi, con l'obiettivo di evitare la dispersione eccessiva del dato clinico e terapeutico; alcune esperienze pratiche a livello regionale supportano favorevolmente questa necessità.
Ugualmente importante è stata ritenuta una corretta valutazione farmacoeconomica che consenta l'applicazione dell'appropriatezza prescrittiva; in questo caso la valutazione non può limitarsi al solo costo della terapia intratecale di per sé, ma deve valutare anche la conseguente diminuzione di costi dei trattamenti di supporto e il miglioramento di parametri della qualità della vita dei pazienti ottenibile con la somministrazione di farmaci intratecali.
Tutti i componenti del comitato scientifico concordano sulla necessità di sviluppare un approccio multidisciplinare all'interno del quale è necessaria la definizione del ruolo della terapia antalgica.
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