Analgesia e controllo del brivido postoperatorio
Short review
Pathos 2025; 32.2. Online 2025, Sept 19
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Nicola Maratea
Anestesia, Rianimazione e Terapia del Dolore,
Ospedale di Policoro, ASM Matera
Ospedale di Policoro, ASM Matera
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Riassunto
La dizione “dolore da deafferentazione” è stata introdotta sul finire degli anni Settanta come sinonimo di “da denervazione” ed è stata ampiamente usata per indicare genericamente il dolore neuropatico anche in riferimento a situazioni come il dolore dell’arto fantasma, il dolore facciale atipico, la distrofia simpatica riflessa e molte altre, dove non era assolutamente appropriata. In realtà, per acquisire un chiaro significato patogenetico, la dizione non può che essere riferita al dolore neuropatico dovuto a una lesione nel ganglio spinale o cranico e/o nella radice dorsale o nella corrispondente struttura dei nervi cranici.
Summary
The term “deafferentation pain” was introduced in the late 1970s as a synonym for “denervation pain” and has been widely used to generically refer to neuropathic pain, even in situations such as phantom limb pain, atypical facial pain, reflex sympathetic dystrophy, and many others where it was not at all appropriate. In reality, to acquire a clear pathogenetic meaning, the term can only refer to neuropathic pain due to a lesion in the spinal or cranial ganglion and/or in the dorsal root or in the corresponding structure of the cranial nerves.
Parole chiave
Dolore, brivido postoperatorio, analgesia, Nefopam
Key words
Pain, postoperative shivering, analgesia, Nefopam
Introduzione
Impiego del nefopam come analgesico e controllo del brivido post-operatorio
Studio retrospettivo
Introduzione
I farmaci impiegati in anestesia modificano i normali meccanismi di termoregolazione sia a livello centrale sia periferico, con conseguente notevole perdita di calore che è maggiormente accentuata quando interferiscono anche fattori come microclima delle sale operatorie (6-7). Non vi è dubbio che le tecniche di anestesia generale e periferiche inducono una vasodilatazione importante a seguito della gangliopegia prodotta dai farmaci anestetici, e che essa, aggiunta all’eventuale esposizione di ampie superfici cutanee o viscerali, possa essere responsabile della perdita di calore, come peraltro evidenziato da Schonbaum (8) e Borison e Clark (9). L’esigenza per l’organismo di mantenere l’omeostasi termica comporta l’innesco di meccanismi di compenso della termodispersione consistenti nella termogenesi la cui espressione clinica è appunto il brivido.
Tra i farmaci utilizzati nel trattamento del brivido (10-11) molti sono gravati di considerevoli e molteplici effetti indesiderati,quali eccessiva sedazione,ipotensione, insonnia, irritabilità, mancanza di cooperazione da parte del paziente ed a volte anche depressione respiratoria. Ciò, unito al possibile sinergismo con gli anestetici rende questi farmaci ben lontani dal rappresentare il farmaco “ideale” per la risoluzione del brivido post-operatorio.
Rispetto ai farmaci usati precedentemente, il nefopam cloridrato, alle dosi utilizzate nella nostra esperienza i pazienti hanno ricevuto 0,1 mg/Kg endovena di nefopam cloridrato diluito in soluzione fisiologica,brivido al risveglio sono stati trattati 0,15 mg/Kg endovena, sembra presentare due non trascurabili vantaggi: pronta ed efficace azione antibrivido, scarsa incidenza di effetti collaterali.
Il nefopam è, infatti, un analgesico centrale derivato dell’orfenadrino e dalle difenilendramine per ciclizzazione della catena laterale. Esso è un potente inibitore del reuptake sinaptosomiale di serotonina la quale, non solo è in grado di esaltare l’attività delle endorfine, ma agisce anche sulle attività del lobo limbico e del diencefalo (12-13).
L’impiego profilattico del nefopam può essere riservato a pazienti con riserve cardiorespiratorie limitate all’età o da patologie concomitanti in cui è comunque preferibile un risveglio tranquillo e talora ritardato piuttosto che la possibile insorgenza di gravi complicanze secondarie alla involontaria e severa prova da sforzo rappresentata da un brivido intenso (14).
L’impiego terapeutico è consigliabile per la prontezza d’azione del farmaco, in tutti i pazienti sottoposti ad anestesia generale ( TIVA-TCI ) o loco-regionale (subaracnoidea- epidurale - CSE) che sviluppano brivido,anche a costo di un modesto prolungamento della permanenza presso il reparto operatorio.
Il nefopam è stato sviluppato nel 1970 come farmaco antidepressivo ed è stato a lungo utilizzato nel trattamento della spasticità. Nel 1976 Gassel et al. (1) pubblicarono uno studio in cui dimostrarono le sue potenti proprietà analgesiche. Sebbene il suo meccanismo d’azione non sia ancora del tutto chiarito, nefopam si è dimostrato un analgesico (non oppioide) ad azione centrale che inibisce il reuptake di noradrenalina, serotonina e dopamina.
Il suo effetto analgesico è modulato dai recettori adrenergici α1 e α2, dai D2 dopaminiergici e dai 5-HT1b e 5-HT 2c (Girard P et al. 2006) (2).
E’ una benzoxazocina ed è un analogo della difenidramina (un antistaminico) e la sua struttura chimica è molto simile alla orfenadrina (un antimuscarinico). E’ sintetizzato attraverso quattro reazioni a partire dall’acido benzoico ed è differente da qualsiasi altro analgesico. Ha un’emivita plasmatica di 3-5 ore; il picco di concentrazione plasmatica è raggiunto in 15-20 minuti dopo iniezione endovenosa in bolo e dopo circa 30 minuti per infusione continua ; presenta un metabolismo di primo passaggio per cui la sua biodisponibilità dopo somministrazione orale è solo del 40%. Viene metabolizzato a livello epatico a desmetilnefopam (che sembra essere biologicamente attivo) e a N-oxide-nefopam. Presenta un legame proteico del 75%, viene eliminato prevalentemente attraverso il rene (87%) mentre una piccola parte (8%) è escreto con le feci. Alcuni studi clinici dimostrano che 20 mg di nefopam sono equivalenti a 6-12 mg di morfina.
Discusso è la sua capacità di ridurre il consumo di morfina: mentre alcuni autori riportano una riduzione del 30-50% altri negano tale effetto.
E’ generalmente considerato un farmaco ben tollerato: i principali effetti collaterali sono rappresentati da nausea, vomito, secchezza delle fauci e sudorazione - effetti più seri sono rappresentati da tachicardia e confusione mentale – contrariamente ai fans non agisce sull’aggregabilità piastrinica e non da depressione respiratoria, effetto presentato, invece dagli oppioidi. In una recente metanalisi (Evans et al.Br J Anesth 2008) (3) è stato esaminato il profilo di efficacia e di sicurezza di tale farmaco – sono stati esaminati 9 studi clinici in cui il Nefopam veniva utilizzato per via orale ed endovenosa per il trattamento del dolore conseguente a chirurgia addominale maggiore, ginecologica e ortopedica. Inoltre possiede un’importante azione antibrivido: 0,2 mg/Kg sono più efficaci rispetto a 1,5 µg/Kg di nefopam nella profilassi del brivido postoperatorio e non sono accompagnati da effetto sedativo o emodinamico contrariamente a quando avviene con la clonidina. Il brivido postoperatorio, oltre a costituire una sgradevole
sensazione soggettiva durante la fase di risveglio dell’anestesia , può essere causa di complicanze anche gravi, specialmente in pazienti con riserve cardiorespiratorie limitate (4-5).
Materiale e metodo
Dopo anni di esperienza nell'utilizzo del nefopam come analgesico e anti-brivido, nel giugno del 2025 abbiamo deciso di intraprendere una revisione del protocollo utilizzato fino a quel momento. Lo studio retrospettivo è stato condotto su 350 pazienti di entrambi i sessi, di età compresa tra i 59 e gli 84 anni, con un peso corporeo medio di 62,5 ± 16,5 kg, esenti da malattie cardiache, epatiche, renali, metaboliche ed endocrine (classificazione ASA I-II).
Discussione
I farmaci impiegati in anestesia modificano i normali meccanismi di termoregolazione sia a livello centrale sia periferico, con conseguente notevole perdita di calore che è maggiormente accentuata quando interferiscono anche fattori come microclima delle sale operatorie (6-7). Non vi è dubbio che le tecniche di anestesia generale e periferiche inducono una vasodilatazione importante a seguito della gangliopegia prodotta dai farmaci anestetici, e che essa, aggiunta all’eventuale esposizione di ampie superfici cutanee o viscerali, possa essere responsabile della perdita di calore, come peraltro evidenziato da Schonbaum (8) e Borison e Clark (9). L’esigenza per l’organismo di mantenere l’omeostasi termica comporta l’innesco di meccanismi di compenso della termodispersione consistenti nella termogenesi la cui espressione clinica è appunto il brivido.
Tra i farmaci utilizzati nel trattamento del brivido (10-11) molti sono gravati di considerevoli e molteplici effetti indesiderati,quali eccessiva sedazione,ipotensione, insonnia, irritabilità, mancanza di cooperazione da parte del paziente ed a volte anche depressione respiratoria. Ciò, unito al possibile sinergismo con gli anestetici rende questi farmaci ben lontani dal rappresentare il farmaco “ideale” per la risoluzione del brivido post-operatorio.
Rispetto ai farmaci usati precedentemente, il nefopam cloridrato, alle dosi utilizzate nella nostra esperienza i pazienti hanno ricevuto 0,1 mg/Kg endovena di nefopam cloridrato diluito in soluzione fisiologica,brivido al risveglio sono stati trattati 0,15 mg/Kg endovena, sembra presentare due non trascurabili vantaggi:
1) Pronta ed efficace azione antibrivido
2) Scarsa incidenza di effetti collaterali
Il nefopam è, infatti, un analgesico centrale derivato dell’orfenadrino e dalle difenilendramine per ciclizzazione della catena laterale. Esso è un potente inibitore del reuptake sinaptosomiale di serotonina la quale, non solo è in grado di esaltare l’attività delle endorfine, ma agisce anche sulle attività del lobo limbico e del diencefalo (12-13).
L’impiego profilattico del nefopam può essere riservato a pazienti con riserve cardiorespiratorie limitate all’età o da patologie concomitanti in cui è comunque preferibile un risveglio tranquillo e talora ritardato piuttosto che la possibile insorgenza di gravi complicanze secondarie alla involontaria e severa prova da sforzo rappresentata da un brivido intenso (14).
L’impiego terapeutico è consigliabile per la prontezza d’azione del farmaco, in tutti i pazienti sottoposti ad anestesia generale ( TIVA-TCI ) o loco-regionale (subaracnoidea- epidurale - CSE) che sviluppano brivido,anche a costo di un modesto prolungamento della permanenza presso il reparto operatorio.
Conclusioni
Se la terapia multifarmacologica è la principale tecnica per la cura del dolore postoperatorio ( devono essere tenuti presenti gli effetti avversi dei farmaci stessi) (15). E’ importante scegliere quindi il farmaco con un profilo rischio beneficio adeguato ai fattori di rischio presentati dal paziente stesso.
Il nefopam cloridrato è risultato, nella nostra esperienza, dotata di pronta ed efficace azione analgesica e antibrivido con scarsa incidenza di effetti collaterali. In virtù delle sue caratteristiche farmacologiche, riunisce più proprietà sinergiche nell’azione antibrivido, senza peraltro mostrare sinergismo con i farmaci dell’anestesia. La combinazione di paracetamolo e di nefopam produce analgesia efficacia con un’interazione sinergica. Prima di poter trarre conclusioni definitive sono necessari ulteriori studi clinici.
Riassunto
parole chiave : Dolore- Brivido postoperatorio – Nefopam
Il nefopam cloridrato è stato impiegato nella prevenzione e nel trattamento del dolore e brivido postoperatorio in 350 pazienti sottoposti ad anestesia generale TIVA-TCI e ALR ( CSE- subaracnoidea – peridurale - Blocchi) per interventi di chirurgia generale, ginecologia, ortopedia ed otorinolaringoiatra. Con indice di efficacia del farmaco è stata utilizzata la scomparsa delle oscillazioni irregolari dovute al tremore sul tracciato ECG e l’osservazione clinica dell’andamento del fenomeno sul paziente. Sono stati valutati l’efficacia del trattamento, l’andamento della sintomatologia soggettiva ed il rilievo degli eventuali effetti collaterali.
Il nefopam cloridrato è risultato, nella nostra esperienza, dotato di pronta ed efficace azione antibrivido, con scarsa incidenza di effetti collaterali. Esso assomma varie proprietà sinergiche nel dolore postoperatorio e nell’azione antibrivido, senza peraltro mostrare sinergismo con i farmaci dell’anestesia. Non sono stati osservati eventi avversi emodinamici o sedativi in tutti i pazienti trattati con nefopam.
Bibliografia
1) Gassel MM, Diamantopoulos E, Petropoulos V, Hughes AC,Ballesteras ML, Re ON: Controlled clinical trial of oral and parenteral nefopam hydrochloride. A novel and potent analgesic drug. J Clin Pharmacal Res. 2006;54:195-202
2) Girard P, Coppè MC, Verniers D, Pansart Y, Gillardin JM : Role of catecholamines and serotonin receptor subtypes in nefopam-induced antinociception. Pharmacol Res. 2006;54:195-202
3) Evans 1 MS, Lysakowshi C, Tramer MR : Nefopam for the prevention of postoperative pain: quantitative systematic : eview. Br J Anaesth. 2008;101(5):610-617
4) Maratea N. et al. : TIVA-TCI con propofol - remifentanil - rocuronio in chirurgia video-laparo-
colecistectomia .MediMay Edizione 2018;52-59. Protocolli operativi in anestesia: l’impiego di
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5) Maratea N. : Anestesia totalmente endovenosa (TIVA-TCI) Target-controlled infusion
in chirurgia video-laparo-colecistetomia. Medicina perioperatoria PeriMed 2010;4-3:53-58.
Presentato come comunicazione orale al “64° Congresso Nazionale SIAARTI
13-16 Ottobre 2010 a Parma.
Presentato come comunicazione orale al “70 Congresso Nazionale SIAARTI
26-29 Ottobre Napoli 2016.
6) Holdcroft A, Hall GM : Heat loss during anaesthesia. Br J Anaesth. 1978;50:157-164
7) Pagni E. : Equilibri termici in corso di anestesia. Rel. XXXVII Congr. Naz. S.I.A.A.R.T.I – Roma 3-10-1985.
8) Lomax P., Schonbaum E.: Environment, drugs and thermoregulation. S.Karger, Basel, Paris, Munchen, London, New York, Tokio, Sydney,1983.
9) Borrison HL, Clark WG.: Drug action on thermoregulatory mechanisms. Adv Pharmac 1967;5:129-212
10) Lampietro PF, Fiorica V. et al.: Influence of tranquilliser on temperature regulation in man. J Appl Physiol 1965;20:365-370
11) Launo C, Palermo S et al. : La clonidina nel brivido postoperatorio. Min. Anestesiol 1991;57;427-431
12) Heel RC, Brogden RN et al. : Nefopam: a review of its pharmacological properties and therapeutic efficacy. Drug 1980;19:249-267
13) Phillips G, Vickers MDA: Nefopam in postoperative pain. Br J. Anaesth 1979;51:916
14) Pauca AL,Savage RT et al. :Effect of pethidine, fentanyl and morphine on post-operative shivering in man. Acta Anesthesiol Scand 1984;28:138-143
15) Maratea N.: Dolore post-operatorio: gestione e innovazioni. Short review Pathos-journal.com ,2020;29,1. Rivista Federdolore SICD.
Use of Nefopam as an analgesic and for controlling post-operative shivering
Autore
Responsabile UOSD Coordinamento attività anestesiologiche
Ospedale di Policoro, ASM Matera
Nicola Maratea
E-mail: nicolino56@libero.it
Cell. :339-3409415
Ente di appartenenza
Ospedale di Policoro - Giovanni XXIII – ASM Matera
Direttore UOSD dott. Nicola Maratea
Abstract
Keywords: Pain - Postoperative shivering - Nefopam
Nefopam hydrochloride was used in the prevention and treatment of postoperative pain and shivering in 350 patients undergoing general anesthesia TIVA-TCI and ALR (CSE-subarachnoid-epidural-blocks) for general surgery, gynecology, orthopedics, and otolaryngology procedures. The drug's efficacy index was based on the disappearance of irregular oscillations due to tremors on the ECG trace and clinical observation of the phenomenon's progression in the patient. The efficacy of the treatment, the progression of subjective symptoms, and the occurrence of any side effects were evaluated.
In our experience, nefopam hydrochloride has been found to have a rapid and effective anti-shiver action, with few side effects. It combines various synergistic properties in postoperative pain and anti-shiver action, without showing synergism with anesthetic drugs. No adverse hemodynamic or sedative events were observed in any of the patients treated with nefopam.
In our experience, nefopam hydrochloride has been found to have a rapid and effective anti-shiver action, with few side effects. It combines various synergistic properties in postoperative pain and anti-shiver action, without showing synergism with anesthetic drugs. No adverse hemodynamic or sedative events were observed in any of the patients treated with nefopam.
Analisi della letteratura
Dalla ricerca Pubmed della dizione “deafferetation pain” vediamo che essa compare in 303 pubblicazioni a partire dal 1978, quasi sempre genericamente intesa come mancanza delle afferenze conseguente ad una lesione nervosa a qualsiasi livello, dal neurone periferico a quelli centrali. Il termine dolore da deafferentazione come generica conseguenza del danno nervoso.7 è disinvoltamente riferito alla causalgia, al dolore dell’arto fantasma, alla sindrome da avulsione del plesso brachiale, alla nevralgia post-herpetica, alla distrofia simpatica riflessa e all’amputazione.8-11, 1
Considerando queste diverse associazioni, vediamo che nella causalgia (che è dovuta alla lesione di un grosso tronco nervoso periferico) si configura la neuropatia assonale ed il secondo neurone non è affatto deafferentato; nel dolore dell’arto fantasma associato alla produzione del neuroma da amputazione, il secondo neurone non è deafferentato perché vi giungono afferenze dal neuroma; nella sindrome da avulsione del plesso brachiale concomitano lesioni delle porzioni prossimali dei grossi tronchi nervosi periferici che configurano il dolore da neuropatia assonale e non comportano deafferentazione e lesioni radicolari che possono effettivamente comportarla; nella nevralgia post-herpetica che è quasi sempre considerata dolore da deafferentazione, il dolore può essere dovuto a lesioni in varie parti del nervo periferico 12 e solo quando è interessata la radice dorsale si configura realmente quel tipo di dolore neuropatico.
Sconcertante è il lavoro di Sánchez-Ledesma et al. 13 in riferimento alla CRPS-I dove il dolore da deafferentazione riguarda addirittura una situazione nella quale non si ha il danno nervoso.
Anche le lesioni del midollo spinale vengono erroneamente catalogate come dolore da deafferentazione 14-16 e altrove leggiamo che il dolore facciale atipico insorto a seguito di una procedura odontoiatrica è dolore da deafferentazione mentre in realtà va inteso come neuropatia trigeminale come, per fortuna, risulta da altre più credibili comunicazioni. 17,18
Malintesi
Il primo malinteso riguarda il fatto che il concetto “deafferentazione” può significare “mancanza di afferenze da…” o “mancanza di afferenze a…”: è chiaro che nella prima accezione, la situazione dell’arto fantasma comporta una deafferentazione ma se consideriamo la “mancanza di afferenze a…” e definiamo come soggetti che non ricevono le afferenze i neuroni centrali, le afferenze vi sono perché, anche se non arrivano dalla struttura anatomica che non c’è più, vi arrivano comunque dal neuroma da amputazione e quindi non è corretto affermare che il dolore dell’arto fantasma è da deafferentazione.
Abbandonando il fuorviante concetto di deafferentazione come “mancanza di afferenze da…” e accettando quello di “mancanza di afferenze a…” un tentativo di razionalizzare l’impiego di questa dizione deriva dall’osservazione di Kerr,19 secondo la quale vi sarebbero tre lesioni che provocano la deafferentazione: 1) la lesione della radice dorsale; 2) la lesione del quadrante anterolaterale del midollo spinale; 3) la lesione del talamo e del tronco encefalico. Tutte e tre queste lesioni comportano la “deafferentazione del neurone a monte” ma mentre nella prima la lesione è periferica (comportando la deafferentazione del secondo neurone), nelle altre due la lesione è centrale (comportando la deafferentazione, rispettivamente, del talamo e della corteccia cerebrale). Consideriamo la situazione della deafferentazione del talamo: essa, in realtà, consiste nell’eliminazione delle afferenze al nucleo Reticolo-talamico a seguito del danno del Fascio neo-spinotalamico con soppressione dell’inibizione GABA-ergica che esso esercita sui Nuclei interlaminari che, a loro volta, ricevono le afferenze paleo-spinotalamiche. Questa osservazione, però, causa un ulteriore malinteso perché la cosiddetta “deafferentazione centrale” viene a coincidere con il danno dei neuroni centrali responsabile del dolore centrale, inducendo confusamente a considerare da deafferentazione anche quest’ultimo.
Un altro elemento di confusione e causa di malinteso riguarda il segnalato rischio di dolore da deafferentazione come complicanza delle procedure neurolesive.20 In realtà, questa complicanza è possibile nel caso della Termorizotomia trigeminale se si esegue una lesione eccessiva che coinvolge le fibre Aβ e non se si coinvolgono soltanto le fibre Aδ e C. Nel caso di una teorica neurotomia periferica (che, in realtà, non ha nessuna indicazione clinica), quel che può verificarsi come complicanza è il dolore neuropatico da neuropatia assonale e non quello da deafferentazione. Nel caso della Cordotomia cervicale percutanea quello che può verificarsi come complicanza è un dolore centrale se la lesione del fascio spinotalamico laterale è incompleta, coinvolgendo il neo-spinotalamico ma risparmiando il paleo-spinotalamico e quindi senza una completa deafferentazione.
Tentativo di razionalizzazione
Si deve concordare con l’osservazione di Boivie 21 che sconsiglia l’uso del termine dolore da deafferentazione per indicare il dolore centrale, riservandolo al dolore da lesione nel primo neurone. Anche così, però, non si fa sufficiente chiarezza perché se la lesione del primo neurone è distale al ganglio spinale o cranico, il secondo neurone continua a ricevere afferenze provenienti dal neuroma e quindi non è deafferentato. In definitiva, se realmente vogliamo attribuire un significato patogenetico a questo termine nato semplicemente come più elegante sinonimo di “da denervazione” ed ancora oggi usato per indicare qualsiasi dolore da lesione nervosa, non si può che riferirlo specificamente alle conseguenze della lesione del primo neurone nel ganglio spinale o cranico o nella radice dorsale prossimalmente al ganglio (Figura 1), in seguito alla quale il secondo neurone è effettivamente deafferentato, secondo un concetto che ho segnalato per la prima volta nella prima edizione del libro "Semeiotica del dolore"22 e ribadito in mie pubblicazioni successive 12 e che devo considerare tacitamente accettato, dato che non mi è mai stato contestato.Secondo questa tesi, la lesione del primo neurone nel ganglio della radice dorsale o nella radice dorsale prossimalmente al ganglio o nelle corrispondenti strutture dei nervi cranici provoca il dolore da deafferentazione che è dovuto alla privazione del secondo neurone di tutti i tipi di afferenze (Aα, Ab, Ad e C). Se la lesione coinvolge il ganglio, l’intero neurone periferico è distrutto perché viene a mancare la funzione del centro trofico rappresentato dal pirenoforo, se interessa i dendriti prossimalmente al ganglio, le fibre periferiche e il ganglio rimangono intatti ma i terminali centrali separati dal centro trofico degenerano: sia in un caso che nell’altro, il secondo neurone è deconnesso dal primo.
Assieme alla degenerazione dei terminali centrali, la lesione nervosa nel ganglio o prossimale al ganglio comporta nel secondo neurone la disinibizione, l’ipersensibilità da denervazione e l’attivazione spontanea del secondo neurone.
Figura 1 – Anatomofisiopatologia del dolore da deafferentazione (Da Orlandini, 12)
Considerato quanto precede, l’elemento cruciale nella patogenesi del dolore da deafferentazione è la scarica spontanea epilettiforme prima a livello midollare e in seguito, forse, anche talamico 23 e corticale .2. Un altro elemento da tenere presente è che (come nel dolore da neuropatia assonale) l’attività elettrica che si produce in questo modo nel midollo spinale non è veicolata soltanto dalle vie del quadrante anterolaterale del midollo spinale (lemnisco spinale) che conducono la nocicezione normale ma, mancando l’attivazione da parte delle fibre C dell’interneurone inibitorio del SAM, anche da quest’ultimo.
Così inteso, il dolore da deafferentazione è effettivamente un tipo patogenetico di dolore neuropatico (Figura 2), con delle peculiari caratteristiche.
Figura 2 – Schematica rappresentazione della sede della lesione nervosa nei diversi tipi patogenetici di dolore neuropatico (inclusa l’incerta collocazione patogenetica del Dolore da persistente ipereccitabilità dei nocicettori) (Da Orlandini .20)
Va osservato che la lesione delle sole fibre C facilitatorie con conservazione delle Aβ inibitorie comporta la “deafferentazione senza dolore” mentre la lesione che coinvolge anche le Aβ comporta la “deafferentazione con dolore”. Questa considerazione è importante perché spiega il meccanismo di azione della Termorizotomia Trigeminale Percutanea a radiofrequenza che consiste in una termolesione attuata proprio nella radice retrogasseriana e cioè nella sede dove l’interruzione delle fibre nervose causa il dolore da deafferentazione: la lesione da produrre deve assolutamente essere limitata alle fibre C, risparmiando le Aβ.
Notare che a livello spinale, per la sovrapposizione dei territori di innervazione periferica, il dolore da deafferentazione si ha solo se la lesione interessa numerose radici dorsali limitrofe e non se ne interessa una sola perché in questo caso le afferenze che provengono dai segmenti sopra e sottostanti a quello della radice dorsale danneggiata raggiungono quel livello metamerico tramite il tratto di Lissauer ed il secondo neurone non è deafferentato. Al contrario, con il coinvolgimento delle fibre Aβ si ha sempre il dolore nella deafferentazione trigeminale dato che ogni porzione della radice retrogasseriana innerva un solo territorio facciale senza sovrapposizioni.
Un’altra caratteristica del dolore da deafferentazione è l’assenza dell’allodinia .27 perché, se ci fosse, dovrebbe essere Aβ mediata, dato che non ci sono ragioni perché sia C mediata. Però, se c’è l’attività delle fibre Aβ, può esserci una parziale deafferentazione ma non il dolore da deafferentazione e se invece c’è il dolore vuol dire che non c’è l’attività delle fibre Aβ.
Conclusioni
Il termine “deafferentazione” che non compare nello storico trattato di Bonica del 1953 .4 e non figura nella tassonomia della IASP .14 è entrato in uso sul finire degli anni 70’ come sinonimo di “da denervazione”, in riferimento alle conseguenze di un danno nervoso e va constatato che è singolare che un termine coniato solo per indicare una generica riduzione o assenza delle afferenze e che per il suo fascinoso e altisonante presentarsi è stato ampiamente abusato, sia come sinonimo di dolore da generico danno nervoso che purtroppo anche per indicare situazioni cliniche patogeneticamente incerte e che nulla avevano da spartire con esso, “casualmente” corrisponda realmente ad uno specifico tipo patogenetico di dolore neuropatico.
Riconoscere l’identità del dolore da deafferentazione è importante oltre che dal punto di vista della diagnosi patogenetica anche per quel che riguarda la decisione terapeutica perché, anche se il suo trattamento è lo stesso che si impiega nel dolore da neuropatia assonale, esso è diverso da quello del dolore centrale. Nel primo caso sono appropriati i farmaci che agiscono sull’attivazione del secondo neurone vale, vale a dire l’amitriptilina, la duloxetina e il baclofene e non i gabapentinoidi che, pur agendo sul secondo neurone, hanno come bersaglio il sito recettoriale α2-δ degli NMDA-recettori che non sono coinvolti. Nel secondo caso l’unica opzione terapeutica correlabile con il meccanismo patogenetico è il ripristino dell’inibizione GABA-ergica del Nucleo Reticolotalamico sul nucleo Dorsomediano per contrastarne l’attivazione da parte del fascio paleo-spinotalamico.
Parole chiave
SCS tradizionale, SCS ad alta frequenza, Burst-SCS
Key words
Traditional SCS, High frequence SCS, Burst SCS
Introduzione
Il “dolore da deafferentazione” è spesso inteso come il dolore neuropatico .5, .25, .23, .11, .13, senza un chiaro riferimento a un danno nervoso. Da questa approssimativa interpretazione deriva l’erronea deduzione che la sindrome del dolore dell’arto fantasma sia dolore da deafferentazione perché mancano le afferenze dall’arto mancante e così pure la sindrome del dente fantasma e del seno fantasma ed è dolore da deafferentazione anche quello secondario alla lesione dei nervi periferici perché dalla sede distale alla lesione mancano le afferenze. In un’allucinante interpretazione, da alcuni il dolore da deafferentazione è addirittura, inspiegabilmente, inteso come “…un ombrello che copre tutte le patologie con o senza dolore incluse le situazioni neoplastiche”… .1. 8
La SCS tradizionale
La SCS prevede l'impianto di elettrodi nello spazio peridurale e fu attuata per la prima volta nel 1967 da Shealy et al, 5 previa laminectomia toracica e impianto di piastre di platino suturate sulla dura madre. Nella seconda metà degli anni Sessanta, quest'intervento fu impiegato negli USA così largamente che il suo uso indiscriminato portò a risultati insoddisfacenti e al calo d'interesse per la metodica fino ai primi anni Settanta quando fu proposto l'inserimento percutaneo di elettrodi temporanei per testare i pazienti prima dell’impianto definitivo. 10,11
In seguito, la tecnica percutanea, prima usata solo per il test, fu adottata anche per l'impianto definitivo.12 Proposta in un primo tempo solo a scopo antalgico, la SCS fu poi riconosciuta capace d’interferire con diverse funzioni autonomiche ed usata per controllare la ritenzione urinaria nei paraplegici 13 l'incontinenza vescicale, le arteriopatie periferiche,14 l’angina pectoris, il fenomeno di Raynaud nella sclerodermia e infine per prevenire i danni da vasospasmo cerebrale.
In seguito, la tecnica percutanea, prima usata solo per il test, fu adottata anche per l'impianto definitivo.12 Proposta in un primo tempo solo a scopo antalgico, la SCS fu poi riconosciuta capace d’interferire con diverse funzioni autonomiche ed usata per controllare la ritenzione urinaria nei paraplegici 13 l'incontinenza vescicale, le arteriopatie periferiche,14 l’angina pectoris, il fenomeno di Raynaud nella sclerodermia e infine per prevenire i danni da vasospasmo cerebrale.
Di fatto, quel che si sa per certo è che la SCS esercita un effetto antalgico in alcuni tipi di dolore neuropatico e non nel dolore nocicettivo, un effetto autonomico-vasodilatatorio utile nel trattamento delle arteriopatie periferiche e dell’angina pectoris e, in virtù del suo effetto simpaticolitico, un importante contrasto patogenetico della CRPS.1
Di seguito, si riassumeranno le ipotesi formulate per spiegare i meccanismi di azione della SCS, vale a dire la teoria dell’attivazione delle grandi afferenze mieliniche, la teoria del blocco di conduzione e la teoria del blocco di attivazione della glia.
Teoria dell’attivazione delle grandi afferenze mieliniche
Sebbene quasi per tradizione religiosa si continui a parlarne anche a questo proposito, la teoria del gate control secondo la quale l’attivazione delle fibre Aβ eccita un neurone inibitorio che blocca le fibre C è implicata nel meccanismo di azione della SCS solo per quel che riguarda le fibre Aβ che scorrono parallele al corno dorsale del midollo spinale e attivano l’interneurone inibitorio della sostanza gelatinosa: in realtà si tratta di un effetto antalgico alquanto modesto che riguarda soltanto il dolore nocicettivo condotto dalle fibre C che è quasi irrilevante nel caso della SCS e non riguarda il più importante controllo del dolore neuropatico da neuropatia assonale.
Indipendentemente dalla teoria del gate control, la teoria dell’attivazione delle grandi afferenze mieliniche resta comunque la più condivisa fra quelle proposte. Secondo questa teoria, si ha che l’attivazione delle fibre Aβ dei cordoni posteriori del midollo spinale evoca impulsi ortodromici che, raggiunti i nuclei dei fascicoli gracile e cuneato, attivano i centri sovraspinali da cui originano le vie inibitorie discendenti nel funicolo dorsolaterale (FDL) ed impulsi antidromici che percorrono le collaterali dirette agli strati superficiali del corno dorsale del midollo spinale (Figura 1). Per entrambe le vie, le fibre Aβ attivano interneuroni inibitori del corno dorsale del midollo spinale. In particolare, le vie discendenti nel FDL attivano i recettori 5-HT inibitori del secondo neurone spiegando l’effetto antalgico nel dolore da neuropatia assonale e le collaterali dirette agli strati superficiali del corno dorsale del midollo spinale attivano, come si è detto, gli interneuroni inibitori della sostanza gelatinosa e, quel che è più rilevante, i GABA-B recettori nel secondo neurone contribuendo all’effetto antalgico nel dolore da neuropatia assonale, e i GABA-B recettori nel neurone di origine del simpatico spiegando l’effetto simpaticolitico.
Teoria del blocco di conduzione nelle fibre Ad e C
In un’epoca in cui l’effetto antalgico della SCS era unanimemente considerato secondario all’attivazione delle grandi afferenze mieliniche, Larson et al 15 rimisero in discussione la teoria. In particolare, questi autori segnalarono l'efficacia antalgica dell'elettrostimolazione della metà anteriore del midollo (Figura 2), ipotizzando che responsabile del pain relief da SCS non fosse l’attivazione dei cordoni posteriori ma il blocco di conduzione delle vie spinotalamiche. Sulla stessa linea di pensiero, impiantati elettrodi nello spazio subaracnoideo a livello C1-C2, Hoppenstein 16 ottenne il pain relief con una corrente di intensità 30 volte inferiore quando gli elettrodi erano collocati di fronte al fascio spinotalamico laterale rispetto a quando erano collocati posteriormente ed osservò che nel primo caso il pain relief era controlaterale alla sede stimolata.
A conferma delle osservazioni di Larson e di Hoppenstein, ho personalmente osservato che spesso durante l’esecuzione della Cordotomia Cervicale Percutanea il paziente riferisce la temporanea scomparsa del dolore controlaterale appena l'elettrodo è penetrato nel fascio spinotalamico laterale durante la stimolazione sensitiva a 75 Hz, ancor prima della lesione. In quegli stessi anni, Campbell e Taub 17 e Ignelzi e Nyquist 18 formalizzarono l’ipotesi che l’elettrostimolazione, più che aggiungere impulsi al nervo vi riducesse il numero di impulsi, determinando un blocco di conduzione.
A sostegno dell’ipotesi del blocco di conduzione, Campbell 19 osservò che aumentando l'intensità della stimolazione elettrica di un nervo periferico, si ha prima l'elevazione della soglia di eccitazione per gli stimoli tattili e poi per quelli nocicettivi, fino alla totale anestesia della cute. Sulla base di queste osservazioni, Campbell escluse che la neurostimolazione attivi le fibre di grosso calibro e ritenne più probabile che essa determini il blocco di conduzione in tutte le fibre nervose afferenti. Inoltre, per il maggior rapporto superficie/volume, le fibre di piccolo calibro sarebbero bloccate con una frequenza di stimolazione inferiore a quella necessaria per le fibre di calibro maggiore. Campbell definì questo fenomeno blocco di conduzione correlato alla frequenza di stimolazione e, in accordo con Adelman e Fitzhugh,20 lo ritenne dovuto all'accumulo di ioni K attorno all'assone e alla conseguente riduzione della conduttanza dei canali del Na. In pratica, la corrente che stimola il nervo entrerebbe in collisione con lo stimolo elettrico che percorre ortodromicamente le fibre nervose, bloccandolo (teoria della corrente di collisione). Infine, Campbell osservò che per curare il dolore lombosacrale, gli elettrodi possono essere collocati dietro la cauda equina anziché dietro il midollo. Dalla prima posizione è improbabile che essi attivino i cordoni posteriori ed è verosimile che essi blocchino la conduzione delle fibre nocicettive del primo neurone prima dell’ingresso nel midollo. In realtà, così espressa la teoria del blocco di conduzione spiega l’effetto antalgico dell’elettrostimolazione dei nervi periferici e della stimolazione del quadrante anterolaterale del midollo spinale o della cauda equina ma non di quella dei cordoni posteriori.
Teoria del blocco dell’attivazione della glia
Infine, alcuni anni fa è stato ipotizzato fra i meccanismi di azione della SCS anche il coinvolgimento della glia. Impiegata con frequenze fra 4-60 Hz, la SCS bloccherebbe l’attivazione della glia nel midollo spinale 21 e quindi l’attivazione patologica del secondo neurone da parte delle fibre Aβ responsabile del dolore da neuropatia assonale.22 Anche in questo caso (a meno di non ipotizzare l’azione di qualche interneurone inibitorio) non si tratterebbe di stimolazione ma di inibizione.
La SCS ad alta frequenza e la Burst-SCS: la “crisi” causata dalle nuove acquisizioni tecnologiche
Rispetto a quanto quasi fideisticamente si accettava fino a circa 15 anni fa, oggi la SCS dev’essere riesaminata alla luce delle nuove acquisizioni tecnologiche: la SCS ad alta frequenza e la Burst SCS che hanno in comune le caratteristiche di agire senza produrre le parestesie, di essere efficaci sul dolore lombare (spesso non chiaramente definito ma verosimilmente nocicettivo) e di essere di più semplice attuazione non richiedendo la collaborazione del paziente per la ricerca delle parestesie e quindi potendo essere effettuate in anestesia generale.
Tecnicamente, per il controllo del dolore lombosacrale e dell’arto inferiore si deve posizionare un doppio elettrodo ottopolare fra la VIII e la XI vertebra toracica con il primo contatto di un elettrodo a livello della limitante superiore del corpo della VIII vertebra toracica e l’ultimo contatto del secondo elettrodo a livello della limitante inferiore del corpo della XI vertebra toracica (Figura 3) e per il controllo del dolore cervicobrachiali e dell’arto superiore un doppio elettrodo ottopolare fra la C2 e C7 in corrispondenza della linea mediana, con minor rischio di perdita di efficacia per sposizionamento degli elettrodi e senza le fastidiose variazioni di intensità delle parestesie con i cambiamenti di posizione.
Resta il problema di capire se con queste nuove tecniche si esercita una “stimolazione” e una “inibizione indiretta” o si fa qualcosa di completamente diverso ed è sconcertante che anziché mettere a punto nuove tecnologie per raggiungere un obbiettivo, ci si debba porre il problema di capire quali meccanismi esse utilizzano per raggiungere lo scopo!
Per cominciare, non è chiaro se la SCS ad alta frequenza e la Burst SCS siano la stessa cosa, anche se secondo DeRidder et al 23 entrambe agiscono “modulando” (termine non esplicativo che può significare riduzione diretta dell’attività delle fibre afferenti nocicettive o aumento dell’attività delle fibre che attivano i circuiti inibitori) le vie mediali del dolore e sarebbero equivalenti: di fatto, quel che le accomuna è che non evocano le parestesie perché la bassa intensità della corrente erogata non è sufficiente per attivare le afferenze Aβ dei cordoni posteriori.
Per la maggior parte degli osservatori la SCS ad alta frequenza è più efficace della SCS convenzionale: inoltre, frequenti segnalazioni riguardano il fatto che, contrariamente alla SCS tradizionale, quella ad alta frequenza controlla il dolore lombare. 24-30
La Burst SCS (segnalata per la prima volta da DeRidder e Coll) 31 consiste in pacchetti di 5 impulsi con una frequenza di 500 Hz e un PW di 1000 μsec che vengono inviati 40 volte al secondo, cioè con intervalli che mimano la naturale tendenza alle scariche del SNC e produrrebbero l’effetto antalgico “sincronizzandosi” con esse.32,33 (Tabella 1)
Purtroppo, dall’esame della copiosissima letteratura sull’argomento, non è chiaro con quale meccanismo agiscono queste nuove tecniche e la sconfortante impressione che se ne ricava è che la cosa interessi poco (…funzionano e questo basta!). Quel poco che si può trovare nella letteratura sui meccanismi di azione, è l’osservazione che la Burst SCS agirebbe riducendo la scarica degli WDR-n nel CDMS .50, che la SCS ad alta frequenza e la Burst SCS agiscono modulando le vie mediali del dolore 34 e che l’intensità della corrente erogata per attuare la SCS ad alta frequenza è inferiore a quella necessaria per produrre l’attivazione delle grandi afferenze mieliniche e quindi evocare le parestesie ma sufficiente a indurre il blocco di conduzione nelle piccole fibre C a livello segmentale (forse nel tratto di Lissauer) cui sarebbe dovuto l’effetto antalgico.
Rivalutazione della teoria del blocco di conduzione
Per la SCS ad alta frequenza e la Burst-SCS sembra assolutamente necessario ipotizzare un meccanismo di azione diverso da quello dell’attivazione delle fibre Aβ e l’attenzione non può che rivolgersi al meccanismo del blocco di conduzione non delle fibre Aβ ma delle fibre C nelle vie centrali (Figura 4), vale a dire nel sistema ascendente multisinaptico (SAM). In sintesi, si può ritenere che, in assenza dell’attivazione delle fibre Aβ che salgono nei cordoni posteriori e quindi dell’attivazione del meccanismo inibitorio che scende nel FDL, l’effetto antalgico della SCS ad alta frequenza sia dovuto per quanto riguarda il dolore da neuropatia assonale al blocco di conduzione nel SAM, per quanto riguarda il dolore nocicettivo al blocco di conduzione nel tratto di Lissauer (con effetto segmentale) e per quanto riguarda il blocco simpatico al blocco dell’attivazione dei neuroni di origine delle fibre simpatiche (con effetto segmentale).
Conclusioni
Sulla base delle considerazioni precedenti, sembra davvero che il termine “stimolazione” vada messo in discussione. Questo termine è intuitivo quando si applica la corrente elettrica su un nervo periferico ma è anche fuorviante, perché è ben diverso se, con l’applicazione della corrente elettrica esogena, si aumenta l’attività elettrica nel nervo (cioè se ne “aumenta la conduzione” e quindi lo si “stimola”) o se la si riduce (cioè se ne “blocca la conduzione”). D’altra parte, sostituire il termine “stimolazione del nervo” con “blocco della conduzione nel nervo” implica l’accettazione di un meccanismo d'azione ben definito e, considerando per la SCS l’interruzione funzionale delle afferenze, avvicina concettualmente quest’ultima alle tecniche neurolesive con la prerogativa di agire selettivamente sul SAM e quindi di essere efficace nel dolore da neuropatia assonale e forse anche in quello da deafferentazione, sul tratto di Lissauer e, quindi, di essere efficace nel dolore nocicettivo lombare e sulle cellule di origine del simpatico, esercitando un effetto simpaticolitico diretto.
Conflitto di interessi
L'autore dichiara che l'articolo è stato scritto in assenza di conflitto di interessi
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Published
30th October 2025
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