Dolore cronico e depressione
Chronic pain and depression
Short review
Pathos 2021; 28, 1. Online 2021, Jun 30
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Davide Cristina
Dipartimento Salute Mentale ASP 7
Ragusa (Italy)
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Riassunto
Il dolore cronico è un grave problema di salute pubblica a livello mondiale. Recenti studi hanno accertato che il ruolo della plasticità neuronale è alla base nello sviluppo del dolore cronico e della depressione. Entrambi i quadri patologici condividono meccanismi neurofisiologici e neurotrasmettitori, con implicazioni per il trattamento di entrambi.
Summary
Chronic pain is a major public health problem worldwide. Recent studies have confirmed that neuronal plasticity underlies the development of chronic pain and depression. Both pathological conditions share neurophysiological mechanisms and neurotransmitters, whith implications for treating both.
Parole chiave
Dolore cronico, depressione, neuroplasticità, antidepressivi
Key words
Chronic pain, depression, neuroplasticity, antidepressants
Introduzione
Il dolore cronico è un grave problema di salute pubblica. Gli studi epidemiologici riportano, infatti, che quasi una persona su cinque nel mondo soffre di dolore cronico da moderato a grave e che una persona su tre non è autonoma a causa del dolore. I dati epidemiologici dei Paesi sviluppati hanno mostrato che fino al 50 per cento della popolazione generale potrebbe essere affetta da dolore cronico.1 Il dolore acuto induce deflessione del tono dell'umore mentre il dolore cronico è noto induca inizialmente demoralizzazione e successivamente depressione. La depressione può anche influenzare negativamente la sintomatologia del dolore e la risposta al trattamento. Il dolore e la depressione inducono indipendentemente plasticità a lungo termine nel sistema nervoso centrale.2 La coesistenza tra depressione e dolore cronico può rendere più complicato il trattamento del disturbo depressivo, sia nella depressione preesistente sia in quella indotta dal dolore.
Il dolore
Il dolore comprende sia la componente percettiva (nocicezione) sia quella esperienziale affettivo-emozionale. Il dolore cronico ha una durata di oltre tre mesi e implica una regolazione complessa del segnale algogeno a livello spinale: un segnale riflesso torna alla fonte dello stimolo algogeno e attraverso un neurone afferente giunge all’encefalo dopo l'elaborazione; la risposta torna tramite un neurone efferente al relativo interneurone, che ha funzione di modulazione. Il dolore cronico può indurre alla sensibilizzazione periferica, condizione caratterizzata da una diminuzione della soglia di attivazione e un aumento dell’eccitabilità di membrana e al fenomeno della sensibilizzazione centrale, cioè un’amplificazione dei segnali afferenti a livello del sistema nervoso centrale, che rimane così in uno stato di alta reattività e con maggiore percezione del dolore.3 Il dolore cronico è associato a profonde modificazioni della personalità e dello stile di vita e crea un circolo vizioso di sofferenza con scadimento della qualità di vita.
Reti neuronali
La risposta fisiologica al dolore è attivata da segnali algogeni in grado di stimolare le terminazioni di neuroni recettivi del dolore (nocicettori) che trasmettono lo stimolo ai neuroni del corno posteriore del midollo spinale, da cui originano cinque vie ascendenti al talamo e alla corteccia cerebrale: spinotalamica, spinoreticolare, spinomesencefalica, spinoipotalamica, cervicotalamica. I nuclei talamici mediano l’invio dell’informazione alla corteccia cerebrale, che direttamente partecipa all’elaborazione delle sensazioni dolorose. A queste vie ascendenti corrispondono alcune sedi principali nel grigio periacqueduttale, nel nucleo del rafe magno, nella formazione reticolare del bulbo e del mesencefalo compresa l’area parabrachiale che emette afferenze fino alle strutture limbiche come l’amigdala che modula il comportamento emozionale. L’informazione nocicettiva raggiunge altre aree del tronco encefalico: serotoninergiche (nuclei del rafe), noradrenergiche (locus coeruleus) e dopaminergiche che danno origine a proiezioni dirette al diencefalo e al telencefalo e a vie discendenti al midollo spinale (queste ultime svolgono invece un ruolo di modulazione del dolore essendo connesse all’ipotalamo, al mesencefalo e al bulbo controllando i neuroni spinali che trasmettono impulsi nocicettivi).
Le proiezioni della corteccia cingolata anteriore e frontale, in associazione a sistema limbico, sarebbero importanti per l’elaborazione della dimensione affettiva e cognitiva del dolore. Negli studi di imaging, si è osservato che le aree più comunemente attivate nel dolore includono la corteccia somatosensoriale primaria e secondaria, la corteccia cingolata anteriore, l'insulare, la prefrontale, il talamo, il nucleo accumbens e l'amigdala. Le attivazioni delle cortecce somatosensoriali primaria e secondaria contribuiscono alla dimensione sensoriale-discriminativa del dolore. La corteccia prefrontale, la cingolata anteriore, l'insulare, il nucleo accumbens sono stati implicati nella componente affettiva del dolore e l’amigdala nella regolazione dell’umore e dell’aggressività.2,4
E’ stato dimostrato, infatti, che le vie deputate alla trasmissione degli stimoli algogeni condividono le stesse regioni cerebrali coinvolte nella gestione dell'umore, tra cui anche la corteccia insulare, la corteccia prefrontale, il talamo5 e la corteccia cingolata anteriore (si ritiene che quest’ultima integri gli impulsi sensitivi con gli stati emotivi). L’associazione tra dolore e disturbi depressivi diviene più forte quando aumenta la gravità di entrambe le condizioni.
Diversi studi con la risonanza magnetica hanno confermato il ruolo centrale dell’insula nel processare lo stimolo doloroso, nonché la funzione rispettivamente di elaborazione e integrazione degli aspetti sensoriali/discriminativi del dolore e delle componenti sensitive/cognitive della percezione algica.5,6
Un recente studio riporta che nei pazienti con dolore cronico che manifestano sintomi depressivi, è stato probabilmente individuato un nuovo pathway cerebrale, formato dalle proiezioni di 5-idrossitriptamina costituito da un fascio di neuroni serotoninergici che dal nucleo del rafe dorsale (5-HTDRN, area deputata alla regolazione del tono dell’umore in quanto ricca di neuroni serotoninergici) si connette agli interneuroni che esprimono la somatostatina nel nucleo centrale dell'amigdala. Dal nucleo centrale amigdaloideo gli interneuroni somatostatinoergici si collegano all’abenula laterale, area anch’essa strettamente coinvolta nella sindrome depressiva oltre che nella nocicezione. L’inibizione di questo pathway (tratto nucleo dorsale del rafe - nucleo amigdaloideo) sul modello murino maschio affetto da dolore cronico ha prodotto un comportamento simildepressivo. La successiva attivazione del stesso pathway con approcci farmacologici e optogenetici ha ridotto il comportamento simildepressivo indotto precedentemente. Allo stesso modo si è osservato, dalla risonanza magnetica di pazienti affetti da comorbidità depressiva, che la connessione tra nucleo dorsale del rafe e nucleo centrale dell'amigdala era ridotta rispetto ai pazienti affetti solo da dolore cronico. Il nuovo pathway potrebbe mediare alcuni aspetti dei sintomi depressivi essendo meno attivo nei pazienti con comorbidità depressiva.7
Il ruolo della neuroplasticità
La neuroplasticità è la capacità del sistema nervoso centrale di modificare la propria struttura e di conseguenza le funzioni dei propri neuroni, in risposta a stimoli esterni legati a eventi lesivi o a condizioni patologiche e in relazione al processo di sviluppo dell'individuo.8 Si parla di plasticità adattativa quando il cambiamento è positivo rispetto alla noxa. Si definisce invece plasticità maladattativa se la modifica dovuta a determinati stimoli porta ad alterazioni patologiche. Molti studi dimostrano che il dolore e la depressione cronici possono derivare da meccanismi di neuroplasticità, che sono quindi una condizione importante per l'insorgenza e l'aggravamento di entrambi i disturbi. Le condizioni di neuroplasticità maladattiva possono essere considerati dunque uno stato di malattia.9 Questi meccanismi si innescano anche nelle vie di conduzione sensoriali dal sistema nervoso periferico causando un fenomeno neuroplastico (sprouting) che consiste in alterazioni neurochimiche e talora modificazioni anatomiche, che concorrono all'insorgenza, allo sviluppo e al mantenimento del dolore cronico.10,11 La neurotrofina di derivazione cerebrale BDNF (Brain Derived Nerotrophic Factor) è una proteina endogena neurotrofica che ha maggior espressione a livello cerebrale del mammifero adulto ed è coinvolta nell’attivazione dei recettori tirosinchinasi (Trk) dei neuroni tramite vie di segnalazione intracellulari che mediano l’azione neurotrofica sulle sinapsi, sulla neurogenesi, sulla differenziazione neuronale e sulla neuroplasticità anche in risposta allo stress a livello della corteccia prefrontale e del giro dentato.12,13 E’ stato rilevato che la depressione riduce i livelli di BDNF nel sangue e gioca un ruolo chiave nell'insorgenza e nello sviluppo del dolore. In effetti sembrano riscontrarsi diversi livelli sierici di BDNF a seconda della malattia di fondo associata al dolore cronico.14,15 Il dolore cronico è noto causi depressione; in effetti, gli stress ambientali incrementano le concentrazioni plasmatiche di glucocorticosteroidi portando a una ipoproduzione di BDNF, forse alla base dell’insorgenza di depressioni reattive.16,17 La depressione, peraltro, agisce negativamente sia sulla sintomatologia dolorosa che sulla risposta al trattamento. Depressione e dolore cronico inducono indipendentemente plasticità a lungo termine nel SNC.2
Una recente review dimostra da un lato la prevalenza di dolore nelle coorti di pazienti depressi e dall’altro la prevalenza di depressione nelle coorti di pazienti affetti da dolore cronico. Si rileva quindi una incidenza maggiore di questa combinazione rispetto a quando queste condizioni vengono esaminate singolarmente. La presenza di dolore rende difficile il riconoscimento e il trattamento della depressione. Quando il dolore è da moderato a grave, è associato a sintomi più marcati (qualità della vita scadente, minore rendimento lavorativo e aumentato ricorso all'assistenza sanitaria). Allo stesso modo, la depressione nei pazienti con dolore è associata a maggiori disturbi e a una maggiore invalidità. I pazienti con depressione maggiore con sintomi dolorosi presentano tassi di risposta e remissione inferiori rispetto a quelli senza sintomi dolorosi; i tempi necessari per il raggiungimento della remissione sono più lunghi. Il trattamento deve essere incisivo.18 Poiché la depressione e il dolore condividono meccanismi e vie neurofisiologiche, vi è una ricaduta sul trattamento di entrambi quando presenti contemporaneamente.19 Poiché cambiamenti di neuroplasticità si verificano durante l'esperienza del dolore e della depressione con coivolgimento delle monoamine, negli ultimi anni sono svolti molti studi incentrati sull'applicazione di antidepressivi nella gestione del dolore cronico.17
I neurotrasmettitori e il ruolo degli antidepressivi
L'ipotesi classica monoaminoergica propone che la depressione sarebbe causata dalla ridotta disponibilità di neurotrasmettitori come serotonina (5-HT), noradrenalina (NA) e dopamina nel SNC. Gli antidepressivi agiscono selettivamente su alcuni sottotipi di recettori 5-HT e NA per bloccarne la ricaptazione e aumentarne le concentrazioni nello spazio sinaptico neuronale, migliorando quindi la neurotrasmissione e avendo un effetto antidepressivo.17,20 I neurotrasmettitori monoaminici prendono parte all'insorgenza e allo sviluppo del dolore, infatti l'efficacia degli AD inibitori della ricaptazione del 5-HT (SSRI) e del NA-5HT(SNRI) nei pazienti con dolore neuropatico cronico trova utilizzo.21,22 In Italia, gli antidepressivi che trovano indicazione per gli stati dolorosi sono amtriptilina, clomipramina, duloxetina e trazodone. Altri, come venlafaxina bupropione, citalopram, fluoxetina e paroxetina, pur avendo nel nostro Paese indicazione esclusiva per la depressione, i disturbi di ansia e alcuni per il disturbo ossessivo compulsivo, sono impiegati off label negli stati dolorosi cronici (neuropatie e fibromialgia). Le linee guida sul dolore neuropatico riportano come trattamento di prima linea (riguardo l’uso degli antidepressivi), triciclici, nortriptilina, amitriptilina, imipramina a dosaggio terapeutico (DT) di 25-150 mg/die per 6-8 settimane, duloxetina a DT di 30-120 mg/die per 4 settimane e venlafaxina a DT di 37,5 -225 mg/die per 4-6 settimane. Nel trattamento di terza linea l’uso di antidepressivi come citalopram e paroxetina a DT di 10-40 mg/die per 4 settimane.23,25
I farmaci triciclici sono di vecchia generazione; il meccanismo d'azione è caratterizzato dall’inibizione della ricaptazione di 5-HT e NA nello spazio sinaptico.20 Venlafaxina e duloxetina sono due SNRI. La venlafaxina ha un'efficacia simile a quella dell'imipramina, poiché a basso dosaggio inibisce soprattutto il riassorbimento nello spazio sinaptico della 5-HT. L’efficacia sul dolore si ottiene a dosaggi più elevati capaci di inibire anche il trasportatore della NA (NET). Gli SNRI hanno una efficacia simile ai triciclici ma con minori effetti collaterali. Queste molecole hanno dato dei buoni risultati in diversi trial clinici nel trattamento del dolore neuropatico, nel trattamento della polineuropatia diabetica, nella neuropatia da HIV e nel dolore neuropatico oncologico. Il bupropione ha proprietà inibitorie del NET e del trasportatore della DA (DAT) e inibisce soprattutto il reuptake della dopamina, con un beneficio in alcune forme di dolore neuropatico.24 La duloxetina ha un effetto diretto modulatore sulle vie discendenti del dolore con effetto inibente sul sistema della NA del locus coeruleus e su quello della 5-HT del nucleo del Rafe.25 Il milnacipran è un SNRI con la più forte azione sul NET rispetto al trasportatore serotoninergico (SERT). I dati suggeriscono che questo AD possa essere efficace per il dolore nella fibromialgia. Il milnacipran non è approvato in Italia.26 I TCR e gli SNRI sono gli antidepressivi più utilizzati nel trattamento del dolore neuropatico/fibromialgico.27
Oltre agli AD, gli stabilizzanti dell’umore e gli analgesici hanno una funzione di rilievo nel trattamento del dolore cronico. Importante il contributo di un'appropriata psicoterapia nel trattamento della depressione cronica indotta dal dolore, come confermato in molte indagini cliniche.28
Conclusioni
Il dolore cronico e la depressione sono strettamente correlati e condividono le stesse aree e gli stessi meccanismi neurofisiologici del SNC. Alcuni antidepressivi sono farmaci di prima linea nel dolore neuropatico, soprattutto TRC e SNRI, perché svolgono funzione antalgica e antidepressiva. Il dolore cronico e la depressione inducono indipendentemente plasticità a lungo termine nel SNC. La neuroplasticità maladattativa appare quindi essere una delle principali cause del dolore cronico e/o della depressione maggiore e delle diverse combinazioni dei due quadri.
Conflitto di interessi
L'autore dichara che l'articolo non è sponsorizzato ed è stato redatto in assenza di conflitti di interesse.
Published
30th June 2021